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Staycation? No, grazie. L’estate 2020 e il turismo di prossimità, di Anna Maria Alaimo

Non c’è niente da fare: amiamo gli anglicismi. A parte l’opinione negativa di qualche purista, bisogna riconoscere che, in genere, i “prestiti” linguistici arricchiscono la lingua che li riceve. L’attuale pandemia da Covid 19 ha contribuito in modo significativo ad arricchire il lessico familiare di ciascuno di noi con termini poco utilizzati, se non addirittura sconosciuti, fino a pochi mesi fa.  Dal 9 marzo 2020 abbiamo dovuto accettare che tutte le attività in Italia fossero sottoposte a chiusura totale, di lì a poco definita lockdown. Abbiamo dato prova di grande spirito di adattamento e senso del dovere attrezzandoci a lavorare da casa, ovvero adeguandoci alle nuove modalità dello smartworking. Abbiamo trepidato nel sentire le varie ipotesi di trasmissione del morbo, complici le minuscole particelle denominate droplet, così come abbiamo imparato a definire cluster un focolaio d’infezione circoscritto. Ci siamo dati vicendevolmente forza, nelle dure settimane di quarantena, con flash mob e performance musicali dai balconi di casa. E ancora task force, screening, hub, call, covid hospital, voucher e data breach. Ognuno di questi termini ha scandito momenti che rimarranno a lungo impressi nella memoria collettiva.

Siamo in quella che gli esperti chiamano Fase 2 avanzata; stiamo tentando di comprendere come far combaciare la ripresa delle attività con la prudenza necessaria di dover fare tutto ciò a virus circolante. Anche se non vi sono ancora certezze circa gli scenari futuri, è comunque fondamentale ragionare sin da ora su di un argomento fondamentale per gli italiani: le vacanze. E’ amaramente vero che la pandemia da Covid 19 ha modificato abitudini, priorità e norme comportamentali dei viaggiatori su scala globale. Ma andare in vacanza rimane comunque  una necessità per tutti.

Il settore del turismo in Italia movimenta  tra il 12 e il 13 per cento del PIL, con tre milioni di lavoratori; c’è un importante flusso di turismo interno. Con ogni probabilità, chi potrà permetterselo nei prossimi mesi opterà in molti casi per soluzioni non troppo lontano da casa propria, anche di pochi giorni. Alcuni recenti sondaggi hanno rivelato che gli italiani, dopo la durissima quarantena, coltivano il desiderio di una vacanza; da sempre viaggiare è sinonimo di libertà e, mai come adesso, si riscontra tanta voglia di una sana evasione.

Tuttavia la stagione turistica che si prospetta sarà molto diversa dal solito. Il turismo sta cambiando e cambierà ancora: sembra scontato che quest’anno il movimento sarà essenzialmente interno e che coloro i quali vorranno concedersi qualche giorno di meritato svago avranno delle richieste molto stringenti; saranno vacanze  probabilmente più brevi rispetto agli anni precedenti, dato che molti lavoratori hanno dovuto utilizzare le ferie durante la chiusura forzata delle loro aziende e saranno, soprattutto, vacanze prudenti e “sicure”.  Proprio a causa di queste particolari esigenze da qualche settimana è tornato prepotentemente alla ribalta un altro anglicismo: staycation, per l’appunto. L’interessante neologismo nasce in un contesto di crisi economica: si tratta di una “parola macedonia” (espressione coniata dal linguista neopurista Bruno Migliorini) formata dalla fusione di stay at home e vacation, ovvero fare una vacanza a casa o nelle sue vicinanze: un turismo di prossimità, insomma. Questa sembra essere la migliore risposta alla necessità di molti di andare comunque in vacanza nel 2020, pur vivendo all’interno di uno scenario inedito che vede la contrapposizione tra la necessità di evadere allontanando la mente dalle angosce legate all’emergenza Covid 19 e le difficoltà oggettive di mantenere comportamenti virtuosi e previdenti.  Qual è, dunque, la vacanza dei sogni degli italiani nel 2020? Pare che tra le opzioni prenda sempre più corpo l’idea delle gite fuori porta e delle escursioni all’aria aperta ma anche  della casa vacanza isolata, con ampi spazi all’aperto e possibilmente con piscina. Di sicuro si tratterà di un turismo che punterà sulla sicurezza, con particolare attenzione alle norme d’igiene ed al distanziamento sociale. Proprio quest’ultimo punto farà crescere l’interesse verso le destinazioni poco note, non inserite nei circuiti del cosiddetto overtourism, del turismo di massa.

Di particolare interesse sono i dati che emergono da uno studio condotto da Demoskopika che ha riguardato il T.a.tu.r, acronimo che sta per “Tasso di appartenenza turistica regionale” in rapporto ai turisti che trascorrono la vacanza nella regione di residenza sul totale dei vacanzieri. Ebbene la Sicilia presenta il più elevato livello di appartenenza turistica, con il 40,59% di “identitari” ovvero residenti che trascorrono le vacanze in territorio siciliano. A seguire,  con tassi rilevanti, la Sardegna e la Campania rispettivamente con il 29,06% e il 26,63%. Questo ci sembra un ottimo dato sul quale riflettere e dal quale partire per costruire seriamente una campagna atta a sensibilizzare ancora di più circa la bellezza di “fare vacanza di prossimità”.

Se al momento attuale ci sembra di poter affermare che il turismo di massa è un fenomeno destinato a scomparire per qualche tempo, riusciamo comunque a scorgere il potenziale dello staycation, che si basa su alcuni punti fondamentali: ecosostenibilità, territorialità, turismo lento, esperienza e destagionalizzazione dell’offerta. Il turismo di prossimità o staycation che dir si voglia, non si discosta poi tanto da quell’altro concetto di undertourism (eh si, ancora un anglicismo) ovvero l’idea di un altro tipo di viaggio rispetto alle mete ipersfruttate e consumate da orde brulicanti di visitatori alla ricerca del selfie perfetto, quello postato infinite volte su Instagram. L’undertourism è la chiave interpretativa perfetta, una visione degli scenari turistici che offre ampio spazio alla soggettività. E’ la scelta che soddisfa tutta una serie di necessità: il viaggio di prossimità è etico, personalizzabile al massimo, sostenibile sia sul piano sanitario (difficilmente si potranno avere grossi problemi nell’attuare il giusto distanziamento sociale in uno dei tanti, splendidi borghi siciliani) che sul piano economico.  Sarà nostro compito aiutarvi ad individuare, di volta in volta, quel particolare luogo, borgo, villaggio, scorcio paesaggistico, monumento, museo che vale la pena conoscere e per il quale vale la pena spostarsi all’interno di quest’Isola che ben si presta a diventare meta obbligata dei vacanzieri post Covid 19. Mettiamoci in viaggio, allora; alla scoperta della Sicilia, luminoso esempio di “Museo Diffuso”.

Anna Maria Alaimo

“Ci sono momenti destinati a rimanere impressi nella memoria collettiva” di Anna Maria Alaimo

Ci sono momenti destinati a rimanere impressi nella memoria collettiva, ancor prima che il lento scorrere del tempo li cristallizzi definitivamente, elevandoli al rango di Storia, quella che poi ti ritrovi a studiare sui manuali.

Anche il più frettoloso, il meno attento tra noi, si rende conto di quanto un determinato accadimento o una serie di eventi siano destinati a condizionare il presente e a rivoluzionare il futuro.
Ci riferiamo a fatti universalmente noti, tra i quali citiamo, ad esempio, la guerra del Golfo (1990-1991) e l’attentato alle Torri Gemelle (2001). Riteniamo che l’attuale pandemia da Covid19 sia proprio uno di questi fatti, ineludibilmente destinato a “fare Storia”.
Stiamo vivendo un cambiamento epocale: il Lockdown ha costretto i tantissimi non nativi digitali a prendere definitivamente confidenza con il web, utilizzando le risorse virtuali, spesso diventando essi stessi “source”, risorsa. Pur confinati tra le mura domestiche, tra smartworking, didattica a distanza e webinair, abbiamo tutti dato prova di maturità e senso del dovere.
Abbiamo scandito ogni tappa di questo percorso collettivo a suon di hashtag: andando agli inizi ovvero immediatamente dopo il Dpcm 8 marzo 2020, quello che ha introdotto la temporanea restrizione delle libertà individuali nel nome di un bene supremo ovvero quello della salute pubblica, ricordiamo tutti quell’”andrà tutto bene” seguito da “io resto a casa”, variamente rallegrati da variopinti arcobaleni disegnati sugli striscioni e siparietti musicali nei balconi di tutta Italia.
Indi è stata la volta delle variazioni sul tema “quarantena” e qui ci siamo sbizzarriti. Chi scrive ha inondato i propri social di manicaretti, golosi lievitati fatti in casa (“Bedda Matri” è il nome della pasta madre nata nella mia cucina in piena pandemia; per chi conosce bene il siciliano e i siciliani questo nome è tutto un programma…), pietanze ipercaloriche e goduriose presentate quasi quotidianamente a followers ormai abituati ad esser partecipi della “quarantena delle vacche grasse”. Non ancora paghi, abbiamo cominciato ad utilizzare il termine”quarantenauti”, un neologismo perfetto per spiegare la frenesia di chi è costretto in casa per giuste ragioni di contenimento della pandemia ma è agitato da smanie di viaggi avventurosi manco fosse un Giasone qualunque con il suo drappello di impavidi eroi pronti a balzare a bordo della nave Argo alla riconquista del mitico Vello d’oro.
Ma l’hashtag che ci ha dato più speranza, aiutandoci ad esser più cauti e pazienti perchè ricco di aspettative, è senz’altro stato “torneremo a viaggiare” che si è presto arricchito con “e sarà bellissimo”, di certo condiviso da tanti.
Siamo ormai entrati nella seconda decade di maggio, in una fase pandemica che ci fa ragionevolmente sperare in un non troppo lontano ritorno alla normalità. Qualcuno ha già cominciato ad interrogarsi su quale potrà essere la “normalità” post Covid19. Sono una Guida Turistica ed è abbastanza ovvio che gli scenari sui quali i professionisti come me puntano la loro attenzione siano quelli legati al Turismo, settore in estrema sofferenza.
Abbiamo sperimentato in questi mesi di forzata inattività delle modalità comunicative mai utilizzate prima. Dai tour virtuali alle Guide in Balcone, abbiamo dato vita a fenomeni inediti e, per molti versi, rivoluzionari. Siamo consapevoli che queste attività nulla hanno a che vedere con la pienezza dell’essere Guida: il contatto con il variegato pubblico dei visitatori, il confronto e l’interazione continua sono aspetti assolutamente imprenscindibili per un professionista dell’accoglienza e della comunicazione come la Guida Turistica.
Ecco che si profila la prima grande incognita legata al ritorno alla cosiddetta “normalità” ovvero: quale sarà il pubblico che i professionisti del Turismo si ritroveranno ad accogliere non appena sarà possibile? Chi vorrà mettersi in viaggio? Quale tipologia di fruitori ci ritroveremo dopo la chiusura forzata? Quanti avranno la possibilità economica di concedersi una vacanza? Ma soprattutto: quando sarà davvero possibile tornare con serenità a progettare, prenotare, fare i bagagli, partire per un viaggio? La politica apre a scenari probabilisti e il premier Conte ha recentemente dichiarato alla stampa che “quest’estate non staremo al balcone e la bellezza dell’Italia non rimarrà in quarantena”.
Attendevamo impazienti queste parole di cauta apertura. Tuttavia continuiamo a porci domande scomode, sperando che al più presto ci siano risposte adeguate. Ci siamo posti il problema di comprendere, ad esempio, in che termini si potrà tornare alla fruizione di un qualsiasi bene culturale: una galleria d’arte, un museo, una chiesa, un parco archeologico. E’ chiaro che servono dei protocolli ben studiati come è altresì chiaro che le modalità di accesso e fruizione del nostro patrimonio culturale vanno attentamente valutate e preparate già adesso, naturalmente in perfetta sinergia, si spera, con i concessionari che da anni ormai hanno la gestione dei cosiddetti Servizi Aggiuntivi in moltissimi luoghi-simbolo del patrimonio culturale italiano.
I protocolli di accesso e fruizione sono fondamentali in quanto non è possibile affidarsi alla maturità ed al senso civico del singolo visitatore, della singola Guida Turistica, del singolo direttore d’istituto. Questo per quanto attiene la fruizione di un bene culturale.
Altro discorso è quello che riguarda il cosiddetto”overtourism”, uno dei fenomeni più stigmatizzati degli ultimi anni. E’ opinione di tanti, anche di chi scrive, che il fenomeno del turismo di massa in forma esasperata (ed a tratti incontrollata) sia destinato ad una forte flessione, quantomeno nel prossimo futuro. L’accezione negativa del fenomeno dell’overtourism ha negli ultimi anni investito soprattutto il settore delle grandi navi da crociera, vere cattedrali del mare, che impattano su delicati equilibri ambientali (vedi Venezia ed il grave problema della laguna o il disastro dell’”inchino” all’isola del Giglio).
E’ innegabile il fatto che un certo modo di fare turismo abbia risvolti negativi. Le città d’arte vengono puntualmente invase da visitatori che spesso sono solo alla ricerca del selfie perfetto, di quell’unico scatto da postare sui social, quello che consentirà loro di dire orgogliosamente al mondo”Eccomi, sono in vacanza a…”.
Ma non sono solo le meganavi nel mirino dei detrattori; anche i villaggi-vacanza giocano un ruolo ben definito nel circuito del turismo di massa. D’altronde il mercato si basa sulla semplice contrapposizione domanda-offerta. E ormai ogni comune mortale desidera ciò che fino a non tantissimi anni orsono era considerato “bene di lusso” ovvero la vacanza da sogno sulla nave faraonica, sbrilluccicosa, glitterata e anche un tantino kitsch, la vacanza perfetta del “tutto tutto compreso”, con i buffet imbanditi ad oltranza. Ed ecco il risvolto davvero doloroso, il pericolo reale e concreto ovvero che in tanti, troppi in verità non potranno più (almeno nel prossimo futuro, se dovessero essere mantenuti i provvedimenti di distanza sociale) concedersi il lusso (che lusso più non è) della crociera o della settimana in villaggio con buffet, animazione a tutte le ore e gioco-aperitivo.
Il lockdown mette a nudo, come sempre accade in periodi di crisi, le fragilità di un sistema economico che tutela meglio alcune fasce sociali lasciando ancor più scoperti quelli che emarginati lo sono già. Fa male al cuore pensare a quante vittime il Covid19 abbia mietuto e quante ancora ne mieterà. Ed è sconcertante pensare che lo stesso virus stia modificando nella forma e nella sostanza il nostro essercial-mondo. Il morbo svela le nostre fragilità e indebolisce i pilastri su cui fondiamo le nostre esistenze, scompagina le nostre certezze e rimescola i nostri assets. La verità è che siamo incapaci di pensare in solitario e tantomeno di agire in solitudine. Il senso stesso del nostro fare comunità è totalmente in antitesi con il concetto di distanza sociale cui la pandemia ci ha costretto. E il mestiere che ho scelto ( o forse da cui sono stata scelta, è un dilemma su cui ancora mi arrovello), il lavoro che svolgo con passione ed empatia si basa esclusivamente sul “contatto sociale”, sullo stare con gli altri, insieme agli altri, condividendo ore, giorni e settimane con altri esseri umani che, per una strana alchimia, cessano immediatamente di sembrare “estranei”. E’ una questione di feeling, una gioiosa apertura verso gli altri, una continua ricerca di canali comunicativi. Eppure anche le modalità di svolgimento delle visite guidate dovranno, per forza di cose, cambiare. Sempre nella speranza che si torni a quella parvenza di normalità cui tutti aneliamo, non si può più pensare ad un gruppo allegramente numeroso, così come eravamo abituati fino a pochi mesi fa. Sarà inoltre indispensabile l’uso di sistemi audio professionali, come whispers, radioguide o addirittura app dedicate per consentire una perfetta interazione tra la guida ed il gruppo.
Torneremo a viaggiare, dunque, ma ci confronteremo con scenari inediti e difficili da accettare pienamente. Ci saranno lungaggini e procedure nuove per salire a bordo di un aereo: probabilmente la mascherina diventerà l’accessorio più in voga della stagione estiva 2020. Dovremo fare i conti con rincari (anche notevoli) delle tariffe: per qualche tempo i voli low-cost potrebbero essere un miraggio.
Al mare dovremo attuare una serie di distanziamenti e finchè il Covid19 non sarà davvero sconfitto dovremo tutti imparare nuovi modi per stare insieme, dalle barriere in plexiglass nei ristoranti agli ombrelloni ben distanziati negli arenili.
Malgrado il clima di grande incertezza qualche coraggioso Tour Operator ha cominciato a dare segnali di speranza, aprendo le prenotazioni per importanti villaggi turistici. La riapertura per la stagione estiva è preceduta da una serie di iniziative rivolte a dare serenità alle famiglie che vorranno concedersi le strameritate vacanze con parametri di massima sicurezza.
Giusto per dare qualche esempio, il protocollo denominato “Vacanze sicure”, in linea con le indicazioni del Governo Italiano e le raccomandazioni dell’OMS prevede che tutto il personale delle strutture indossi dispositivi di protezione individuale e distanziamento sociale; un nuovo modo di gestione degli spazi comuni, con percorsi creati ad hoc per evitare assembramenti; ambienti costantemente sanificati; e ancora, è previsto il controllo della temperatura corporea dei clienti, il distanziamento dei tavoli al ristorante; inoltre, in spiaggia e piscina gli ombrelloni e le sdraio verranno posti a distanza di sicurezza garantendo, a detta della struttura, un massimo di 4 ospiti su un’area di 10 metri quadri. Molto importante ci sembra l’esclusione dei giochi di squadra, del miniclub, della discoteca.
E’ chiaro l’intento di salvare il salvabile di una stagione turistica disastrosa.
Alla luce di quanto abbiamo brevemente illustrato, è chiaro che torneremo a viaggiare, speriamo presto; di sicuro, sarà molto diverso.
Dovremo abituarci a lasciar da parte un pizzico di individualismo in favore di una più sentita appartenenza alla nostra comunità. L’edonismo non può e non deve prevalere sulle scelte che ognuno di noi sarà tenuto a compiere.
Solo se avremo una necessaria maturità la vacanza potrà tornare ad essere un rito collettivamente agito e potrà tornare ad una funzione catartica e liberatoria.
E allora e solo allora torneremo a viaggiare e sarà bellissimo, senza il forse.
Anna Maria Alaimo
Storica dell’Arte e Guida Turistica associata GTA

La professione di Guida Turistica al tempo di Covid-19 di Barbara De Gaetani

In Sicilia come in Veneto, in Uzbekistan come in Marocco, in Africa come ai Caraibi, chiunque abbia acquistato e usufruito di un servizio guida in occasione di un viaggio in qualunque parte del mondo porta nel proprio bagaglio un’esperienza che presenta sicuramente alcune costanti.

Perché ci comprendiamo e facciamo riferimento alla stessa esperienza deve, però, trattarsi di un professionista, una persona motivata anche da una condizione di appartenenza a un ruolo, poiché tale condizione rende diversi a prescindere da una presunta predisposizione e da una sempre presunta preparazione eventualmente vantate da soggetti che operano in modo occasionale.

Fatta salva la professionalità, possiamo dunque dire che qualcosa accomuna una guida siciliana estroversa e molto spontanea e un riservato finlandese o un più compassato inglese? Nel mondo delle guide professioniste l’indole personale e il carattere nazionale sono un plus valore, un ingrediente a sorpresa che aggiunge sapore al contatto umano che la guida stabilisce con i propri clienti. Vi è certamente uno standard derivato dal fattore know how ma è indiscutibile che ciascuno porti nella relazione che si instaura il proprio personale approccio tanto alle cose note quanto alle novità.
Si perché anche per noi Guide ogni ospite è “nuovo”; ciascuno rappresenta un’incognita, una pagina bianca, qualcosa su cui ci auguriamo di imprimere un segno delicato, senza snaturarla o deformarla con un tratto troppo marcato.
L’empatia è la prima qualità di una buona guida; la prima abilità quella di saper interpretare, quasi decifrare, quei pochi indizi che emergono nei primi momenti  successivi all’incontro o persino già prima, magari attraverso una breve corrispondenza o una conversazione al telefono. Tutto è affidato all’intuito e persino a un pizzico di fortuna: a volte capita che la persona che ci troviamo e avremo accanto per le successive cinque, sei o sette ore, sia, diciamo cosi, in una cattiva giornata. E allora, dove la dea bendata non è stata molto benevola, devi fare buon uso delle tue risorse e non solo di quelle “erudite”. Una visita guidata è principalmente un’esperienza di relazione; certo questa esperienza è tanto più approfondita quanto più individuale è la relazione in questione; tuttavia esiste anche una identità di gruppo, specie in uno chiuso, costituito di individui che hanno scelto di compiere quel tour insieme, che magari si conoscevano e si frequentavano già prima e soprattutto provengono da un contesto omogeneo: uno stesso paese o villaggio, un circolo. In realtà esiste un identità di gruppo traducibile in una “individualità surrogata” persino in un gruppo di formazione, come quelli che si formano nei porti di attracco delle navi da crociera, quando 50 fra i 3000 passeggeri che abitano quei giganti del mare si ritrovano per mezza giornata o più in un bus per condividere un determinato itinerario. Perché si tratta sempre di persone, che in più stanno viaggiando. Con quella identità la Guida deve confrontarsi e interagire.
“Turista” è una parola che oggi va cadendo in disuso: sembra quasi riferirsi a un ritratto deprimente di gente con grandi obiettivi al collo ma senza una idea precisa di ciò che vuole in mente; in realtà non è davvero così e turisti lo siamo tutti, e spesso e volentieri. Ci ritroviamo all’altro capo del mondo, in luoghi di cui sappiamo poco o nulla e compriamo quell’unico giro organizzato che troviamo disponibile, cos’altro siamo? Facciamo tutti le stesse identiche cose e scattiamo persino la stessa fotografia, poco importa se siamo ordinari di cattedra in un ateneo o possediamo un’attività di commercio ambulante.
Sul finire del ‘700 era proprio questo che facevano i giovani imbevuti di cultura classica (e più o meno standard): il tour. E beh, quello era il Grand  Tour, ma perché era lungo, e toccava molti paesi. E del resto con i mezzi di trasporto dell’epoca, doveva esser lungo per forza! Facevano il Grand Tour, infine, ed erano turisti. Non esistevano vie di mezzo. Tutti  riportano esperienze di incontro e si soffermano molto sul rapporto con la gente dei luoghi visitati: albergatori, barcaioli, venditori, artisti e studiosi, principi e persino uomini di stato.
Ecco perché non possiamo riciclarci come guide sul web; ecco perché non possiamo sostituire il nostro essere animali da contatto, leoni sul campo e non in video, con la modalità virtuale in cui c’è tutto: belle immagini, effetti col drone, musica suggestiva, le nostre conoscenze – si possono realizzare documentari bellissimi con questi mezzi e la Angela & son S.p.a. docet –  ma manca la cosa più importante e cioè un pubblico presente. Forse il musicista, il ballerino, l’attore, possono praticare le propria disciplina e realizzare momenti di spettacolo e d’arte anche in assenza di qualcuno che assista; quantomeno in alcune occasioni particolari possono sicuramente dare luogo a una performance completa sotto l’aspetto dell’esecuzione; una guida turistica no. Senza il feeback, negativo o positivo, la reazione di chi ascolta e rende la comunicazione limpida e intellegibile e allo stesso tempo ricca di spunti, siamo privati di un elemento essenziale.
Abbiamo solo accennato, finora, al reale motivo per cui una esperienza di visita in compagnia di una guida diventa una parte importante del patrimonio di ricordi legati ad un viaggio e cioè all’aspetto dell’accoglienza. Forse si pensa che quest’aspetto riguardi più chi viene accolto, il visitatore, lo straniero; in effetti accoglienza è un termine che di recente ha assunto un significato specifico in merito ad un certo atteggiamento sociale e persino politico. Tuttavia chi svolge la professione di guida turistica è soprattutto un professionista dell’accoglienza. Un ruolo nient’affatto semplice ma bellissimo, che ci manca tanto quando non possiamo metterlo in pratica. Direi senza tema di smentite che per una guida turistica realizzare il proposito  dell’accoglienza è la base della pratica professionale quotidiana, e si traduce in mille sfumature tutte volte a far sentire le persone che stiamo accompagnando a proprio agio, a farle star bene perché possano ricordarsi di noi e del luogo in cui ci siamo incontrati come di un’avventura piacevole. Tolta questa sfida, azzerato il ‘rischio’, eliminato il fattore sorpresa, soppresso il contatto con il pubblico ci ritroviamo privi di stimoli e non è sufficiente apparire come immagine né avere qualcosa da raccontare. Abbiamo storie a centinaia dentro di noi e una miriade di particolari da far notare, tutto quello che ci manca in questa situazione è proprio l’essenziale, è in altri termini il nostro lavoro, che non ha nulla a che fare col mettersi in una stanza e dispensare nozioni. In verità non ha a che fare nemmeno con lo stare in giro a dispensare nozioni. Essere guida non è fare la guida. Ma chi guida non è non potrà mai capire tutto ciò.
Barbara De Gaetani
Guida turistica – GTA

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